Renato zero genitori

Renato zero genitori: Quando Renato Zero ripensava alla sua infanzia a Roma, ricordava i sacrifici che i suoi genitori, in particolare sua madre Ada Pica, dovevano fare per poter frequentare la scuola gestita dalle suore francesi. A quel tempo era la madre che gli preparava il pranzo, contrariamente a quanto accadeva agli altri suoi compagni, che potevano contare sulla servitù; poi, per far arrivare in tempo il pasto, trasportava tutto a piedi, lungo la scalinata di Trinità dei Monti: portava una pagnotta, del formaggio, del salame, del salame, del salame, del salame, del salame , del salame, del salame, del sal” portava con il pranzo un cesto di vimini, il compenso veniva ripartito proporzionalmente, e tutti questi signori dovevano procurarselo da sé, mentre gli altri avevano dei domestici che lo facessero per loro.

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La mamma lasciava lo Spirito Santo dove aveva lavorato

Raccoglieva tutto ciò di cui aveva bisogno nel cesto di vimini e poi procedeva a salire l’intera scala; lo ha fatto quattro giorni su sei. Invece di essere un tenore, Domenico Fiacchini, suo padre, era un poliziotto che sognava di diventarlo. Per questo, nonostante ora stesse seguendo un percorso diverso, continuava spesso a praticare all’interno dei confini della casa.

Renato Zero non ha mai cercato di nascondere il significato che i suoi genitori, Domenico Fiacchini e Ada Pica, hanno avuto nella sua vita. In un’intervista con Grazia, la cantante riflette sul tempo trascorso insieme, dicendo: “Sono stati meravigliosi e non mi hanno mai contestato”. Mia madre era un’infermiera e mio padre era nelle forze di polizia; mi hanno cresciuto con la convinzione che dovrei essere sempre fedele a quello che sono. Devi avere le tue radici ben salde, altrimenti verrai sbalzato via dalla minima brezza e perderai il tuo equilibrio. In effetti, erano la sua più grande risorsa nelle lotte quotidiane che combatteva contro le norme e le aspettative della società:

“Abitavo in una casa con una famiglia ricca, meravigliosamente presente, era un meraviglioso parafulmine”, ha ricordato Renato Zero a Domenica In. “Era un meraviglioso parafulmine.” “Quando affrontavo la vita con un boa di struzzo – e ogni volta che uscivo di casa mi facevo il segno della croce – lo facevo pur essendo consapevole di possedere una grande forza.

Renato Zero, come tanti altri ragazzi della sua generazione che si sono ribellati alle norme della società, si è trovato spesso nella linea di tiro delle forze dell’ordine. Portato in questura, ha avuto molteplici incontri con il padre, Domenico Fiacchini, che, a suo merito, non ha mai giudicato le decisioni prese da suo figlio. “È morto nel 1980, ma è sempre stato orgoglioso di me”, spiega la star a Vanity Fair. “Lui è stato la mia ispirazione”.

Senza forzarmi nulla, darmi suggerimenti o presumere che io sia qualcuno diverso da quello che sono, mi hai dato lo spazio per essere me stesso. Durante l’intervista, ha ricordato quegli anni di disprezzo, durante i quali ha trascorso fin troppe sue giornate nella caserma dei carabinieri che apparteneva al padre: “L’artista ricorda di essere rimasto a lavorare in centro, nella polizia di Campo Marzio Ogni tanto i suoi colleghi, che erano ragazzi, quindi eravamo più o meno carne da macello, facevano razzie casuali. Tutti quelli “strani”, a cominciare da quello con i capelli lunghi, si facevano strada nel blindato macchina “.

Renato zero genitori
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Renato Zero ha sempre potuto contare sulla comprensione dei suoi genitori, e in particolare su quella del padre, Domenico Fiacchini, anche se la polizia lo ha percepito come una piccola minaccia per la sua volontà di distinguersi a tutti i costi. Questo perché Renato Zero ha sempre voluto distinguersi ad ogni costo.

Dopo aver completato la terza media, ha proseguito

Gli studi presso l’Istituto Statale di Cinematografia e Televisione Roberto Rossellini. Tuttavia, ha deciso di abbandonare i suoi studi lì dopo soli tre anni per concentrarsi esclusivamente sulla sua carriera nella musica, nella danza, nel canto e nella recitazione.

In giovane età ha iniziato a travestirsi e ad esibirsi in piccoli club romani. Come sfida ai tanti critici delle sue esibizioni – “Sei uno zero” è una delle frasi che si sentono più spesso – prende il nome d’arte di Renato Zero. Firmò il suo primo contratto a soli 14 anni, 500 lire al giorno al Ciak di Roma. Viene osservato da don Lurio durante una delle numerose serate che si trascorrono al Piper, noto locale notturno di Roma. Per questo motivo sono state create le musiche ei testi per il gruppo di ballo I Collettoni, che fanno da supporto ad una giovanissima Rita Pavone nel suo spettacolo serale.

Successivamente, effettua alcune registrazioni di caroselli per il sito Web di un famoso marchio di gelati. Durante questo periodo, conosce Loredana Berté e Mia Martini e sviluppa un’amicizia con entrambe. Nel 1965 Renato Zero registra le sue prime canzoni, che ha deciso di non rilasciare al pubblico. Queste canzoni erano intitolate “Tu”, “S”, “Il Deserto” e “La solitudine.” Nel 1967 esce il suo primo singolo, intitolato “Non Enough You Know / In the Middle of Troubles”. È stato prodotto da Gianni Boncompagni, che è stato anche l’autore del testo (Jimmy Fontana è stato il responsabile di la musica).Il singolo vendette però solo 20 copie (verrà poi inserito come tributo nella VHS “La notte di Icaro”, circa 20 anni dopo).

Nel musical “Orfeo 9” di Tito Schipa Jr., che viene rappresentato a teatro, interpreta il ruolo della persona che vende la felicità. A teatro recita come comparsa in alcuni film diretti da Federico Fellini, tra cui Satyricon e Casanova. Inoltre, è membro del cast dell’adattamento italiano del musical Hair, insieme a Loredana Berté e Teo Teocoli, tra gli altri.

Nei primi anni Settanta, con l’introduzione del glam rock, caratterizzato da cipria, lustrini e lustrini, i tempi per Renato Zero erano maturi per proporre il suo personaggio, provocatorio e alternativo. Questa figura è veicolata da Zero in brani come “Mi vendo” (un grido serio e volutamente sfacciato di una “prostituta felice”) e, più in generale, in tutto l’album Zerofobia, da “Morire qui” a “La trappola “, da “L’ambulanza” al pezzo-emblema della filosofia zeriana, “Il cielo”.

Nel disco c’è anche una cover italiana di “Dreamer” dei Supertramp, che viene chiamata “Sgualdrina”.

“Papà era diverso”, ricorda l’artista; “Mi ha incontrato, con uno sguardo dolce, nei corridoi (della questura, ndr) illuminati dai neon: ‘Posso trovarti ancora qui?'” Ce lo spiega Renato Zero, invece, qualche tempo dopo, con Con l’arrivo della notorietà, la situazione si è completamente ribaltata: “Si vantava con i suoi colleghi che ero suo figlio, ricorda Sunday nel cantante, e di questo era molto orgoglioso.

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Doveva subire questa cosa, poi all’improvviso c’è stato un riscatto quando sono diventato Renato Zero, perché tutti gli chiedevano biglietti gratis e lui sventolava con orgoglio il biglietto che aveva comprato”. Una passione, quella per la musica, da cui sembrerebbe ereditata suo padre, che “potrebbe diventare un grande tenore” e invece sceglie la divisa, passione per la musica che pare abbia ereditato dal padre.